Italian Patent Box
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L’inizio del nuovo anno ha visto la nascita dell’Italian Patent Box, uno strumento di detassazione dei redditi prodotti con l’utilizzazione di marchi, brevetti, know-how, copyright e desing
Innovazione fa rima con Europa e l’attenzione globale al tema costringe i governi a operare nella direzione di facilitazioni per le imprese che investono in questo settore. La legge è ancora in fase di pubblicazione ma il traguardo segna un passo nel processo di innovazione delle PMI del nostro territorio.
Con la “legge di stabilità” diventa dunque reale, il supporto dei pubblici poteri al mercato nazionale e alle attività di investimento in Ricerca & Sviluppo. Nasce per l’appunto, l’Italian Patent Box,con lo scopo di
- incentivare la collocazione in Italia dei beni immateriali attualmente detenuti all’estero da imprese italiane o estere
- incentivare il mantenimento dei beni immateriali in Italia («o meglio, evitarne la rilocalizzazione all’estero», cfr. Rel Gov.)
- favorire l’investimento in attività di ricerca e sviluppo («gli investimenti in innovazione contribuiscono alla crescita media della produttività del lavoro per una quota percentuale dal 20 al 34 per cento» cfr. Rel. Gov., fonte: Supporting Investment in Knowledge Capital, Growth and Innovation, OECD 2013)
Grandi Gruppi italiani FIAT tra le prime, e colossi come industrie farmaceutiche avevano già dislocato il regime fiscale in Paesi in cui il “patent box” era già attivo (Ungheria, Belgio, Gran Bretagna, Cipro, Olanda, Lussemburgo e Spagna). Il Governo nazionale per riappropriarsi della produzione intellettuale ed economica di queste attività ha pensato bene di adeguarsi a tali trend adottando tutta una serie di misure che prevedono un regime fiscale vantaggioso e una burocrazia meno gravosa.
Il Governo ha quindi esteso le agevolazioni anche allo sfruttamento di beni immateriali solitamente esclusi dai regimi esteri come marchi e design. Questo per non escludere quelle aziende che non rientrano propriamente all’interno dei settori industriali e iper-tecnologici.
Nello specifico si tratta di
- una detassazione parziale ai fini IRES e IRAP del reddito derivante dall’utilizzo di beni immateriali;
- una detassazione totale ai fini IRES e IRAP delle plusvalenze derivanti dalla cessione degli beni immateriali in caso di reinvestimento di almeno il 90% del corrispettivo nella manutenzione o nello sviluppo di altri beni immateriali.
Tutti quei beni che hanno a che vedere con marchi, brevetti, opere d’ingegno, disegni e modelli, processi-formule e innovazioni (know how) sono l’oggetto di queste agevolazioni, disponibili per tutti i soggetti titolari di reddito di impresa (società, imprenditori individuali, stabili organizzazioni di soggetti esteri residenti in Paesi in cui sono in vigore accordi contro la doppia imposizione e scambio effettivo di informazioni), per una durata di massimo 5 anni a condizione che svolgano effettivamente attività di ricerca e sviluppo:
- con attività svolte internamente
- mediante contratti di ricerca stipulati con società diverse da quelle che direttamente o indirettamente controllano l’impresa, ne sono controllate o sono controllate dallo stesso soggetto che controlla l’impresa
- mediante contratti di ricerca stipulati con Università o Enti di Ricerca e Organismi Equiparati
Se l’obiettivo è quello di agevolare il rientro di capitali umani e risorse intellettuali, nonché redditi di imprese la norma si pone di certo in prima linea, poiché queste agevolazioni non solo stimolano il “back home” di grandi gruppi ma spingono altresì ad una competizione interna delle aziende italiane che vedono in quest’opportunità una possibilità di crescita e di sviluppo.
Non potendo certo competere sui costi, l’innovazione e la qualità dei prodotti interamente “Made in Italy” è l’unica arma di difesa contro la forte concorrenza dell’Est Europa, dell’Asia e del Sud del mondo.
Il governo dovrà fare i conti con una riduzione consistente del gettito fiscale – il costo della misura dovrebbe alla fine essere contenuto in circa 150 milioni di euro per il primo anno – a cui, però, dovrebbe corrispondere un aumento del PIL e soprattutto dei posti di lavoro.
In alcuni paesi dell’Unione Europea non sono mancate le aspre critiche, come quelle della Germania poiché anche a livello di incompatibilità con il regime legislativo comunitario si porrebbero come agevolazioni alle imprese che per “Trattati” sono state vietate a più riprese perché lesive della libera concorrenza. A tal pro i patent box sono dalla loro nascita sotto l’occhio vigile della commissione europea, poiché in alcuni casi si è evidenziato un ‘eccessiva riduzione delle tasse di alcune imprese fino ad un non poco ambiguo 80% delle spese.
Il ministro delle finanze tedesco Wolfang Schäuble, invece, ha più volte criticato l’adozione del “patent box” da parte di alcuni paesi europei, ritenendolo una forma di concorrenza fiscale dannosa, i cui effetti sarebbero in contrasto con lo spirito europeo. Le pressioni tedesche sono state talmente forti che, a novembre 2014, l’Inghilterra ha addirittura annunciato un ridimensionamento della misura, modificando il meccanismo di rendicontazione del “patent box” basandolo sul Nexus approach (in modo da detassare solo quote di reddito correlate all’attività di ricerca e sviluppo) e promettendo modifiche sostanziali al regime di agevolazione.
Tutto sommato a prescindere da polemiche e contrasti con il fulcro dell’economia europea, per l’Italia non può non essere una misura che ridarà lustro e importanza a molte imprese nostrane. Un passo verso l’innovazione, la ripresa e l’investimento in ricerca e sviluppo.
[Fonte]
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