Nike: Swoosh, la storia di un logo
[space height =”10″] Nike: Swoosh è il nome del suo logo; assieme ad altri pochi eletti ha fatto la storia. Forse lo sapevate già, ma non smettono mai di incuriosire le notizie relative ai grandi brand.
Sebbene innervosisca come abbiano arbitrariamente svilito la pronuncia del suo nome, Nike Inc. rappresenta forse uno dei brand che più affascinano il consumatore da oltre 40 anni. C’è qualcuno che addirittura tatua sulla propria pelle il celebre logo. Nike, come ormai già saprete nella mitologia greca era una divinità alata, personificazione della vittoria, voluta da Zeus per guidare il suo carro, contro i Titani, da cui pure ella stessa discendeva. Una simbologia di certo altisonante e pretenziosa. Ma la semplicità voluta dalla sostanza stessa del prodotto, gli è stata però restituita dal concept del logo, lo Swoosh, appunto.
Un fruscio, un semplice tocco di pennello.
Era il 1967 quando Phil Knight (tra l’altro come faranno ad avere sempre dei cognomi così attraenti ‘sti qua?) studente di economia, decide di fondare la Blue Ribbon Sports un’azienda produttrice di scarpe da ginnastica che importava dal Giappone, dall’Onitsuka Company (Asics), prodotti a basso costo. Nei primi anni le vendeva direttamente dal portabagagli della sua auto. Fu solo in un momento successivo, quando Phil coinvolse anche il suo ex allenatore dell’università dell’Oregon, Bill Bowerman che aprì il primo negozio a Portland.
Ovviamente non finisce qui.
Da li a poco, una vecchia conoscenza, Jeff Johnson, illuminato durante un viaggio onirico, ottiene in sogno l’idea che avrebbe portato l’azienda a renderla quella che oggi conosciamo. Era il 1971 e il passo successivo fu quello di contattare la studentessa di design Carolyn Davidson che partorì con estrema semplicità in sole 17 ore, l‘immagine di un marchio che non ha più bisogno neanche del nome.
E’ strano a dirsi ma quel logo le fu pagato non più di 35 dollari. No, non temete, non è triste, qualche anno dopo, dopo il suo lancio, dopo l’ingresso a Wall Street, le sono state donate un bel po’ di azioni. (E anche un anello d’oro con il logo da lei creato).
Negli anni il logo è cambiato solo poche volte, oggi lo vediamo in entrambe le salse me è proprio vero che anche senza le sue lettere, il consumatore, divenuto ormai un fedele e attivo fan del brand, non può fare a meno di riconoscerlo.
Quanti altri brand possono vantare un simile vantaggio?
La storia di un logo vincente non è scritta, né tanto meno è possibile segnare delle linee guida per percorrere simili successi. I tempi erano maturi, il mercato stava cambiando e con esso anche il consumatore. Il fattore vincente è forse stato l’aver puntato, in seconda battuta, direttamente al semplice utente, non già solamente all’atleta. Ha contribuito, Nike, a modificare lo stile di comunicazione di quasi tutte la aziende di articoli sportivi. Diventa da quel momento in poi un life-style. E il cliente diviene, giorno dopo giorno fervido sostenitore del prodotto e dell’idea che costruisce, mediante il potere del marketing, guidato come ben sappiamo dal potere delle immagini, delle parole e perché no, dei volti che lo promuovono.
A pochi giorni dal lancio del nuovo prodotto geniale le scarpe di Marty McFly le “Back to the future” non ci si stupisce più delle trovate geniali con cui continuano ad attrarre il pubblico. Ma una cosa è certa continuano, questi grandi brand a regalarci emozioni (che triste o meno che sia) si alleano con il più vuoto materialismo del consumismo.
Un logo, quando ha successo, riesce in estrema sintesi ad incatenare il consumatore, per sempre al prodotto… e a render ricco chi lo ha creato.
E’ la forza comunicativa messa a disposizione dai “segni” ed è il volto dell’impresa, negarsi un simile traguardo, quando si possiede un’attività è davvero un’opportunità sprecata.
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